La Nato sta mettendo a punto – dopo mesi di lavoro – il grande piano difensivo in risposta alla nuova realtà geopolitica, mutata profondamente dopo il 24 febbraio 2022. La Russia è tornata infatti ad essere “la principale minaccia” per l’alleanza, così come deciso al summit di Madrid, e la Cina desta sempre più preoccupazione, visti i toni bellicosi di Xi Jinping, specie per quanto riguarda Taiwan. Al quartier generale di Bruxelles sono netti: si tratta della “più grande riconfigurazione a partire dalla Guerra Fredda” e le implicazioni “sono profonde”. Eppure non tutti gli alleati sono pienamente soddisfatti. Il fianco est guarda con apprensione a cosa sta accadendo in Ucraina e chiede ai partner di “fare di più”.
L’orizzonte è il summit di Vilnius, in programma per l’11-12 luglio. Nel corso del vertice annuale i capi di Stato e di governo – in quel che si prevede un incontro denso di contenuti – dovranno probabilmente vidimare i piani militari stilati dal braccio operativo della Nato. Non è poco. Gli strateghi dell’alleanza hanno prodotto oltre 4mila pagine di ‘canovaccio’. Che va ora declinato nella realtà. Questa volta si è partiti dal basso. Ovvero la collazione di 31 piani nazionali, tanti quanti sono gli alleati (più un forte coordinamento con la Svezia, che sta sull’uscio). Da qui si passa al gran cappello strategico, che integra i tre macro-piani regionali (nord, centro e sud) e le analisi dettagliate di ogni dominio: mare, terra, aria, spazio e cyber nonché le loro varie interazioni. Un processo certosino che si è basato anche sui “war games”, che servono per “immaginare” i possibili scenari e dare ai leader e ai capi di stato maggiore “diverse opzioni con diverse “velocità di attuazione”.
“Per anni – spiega un funzionario alleato – la Nato si è concentrata sugli interventi in teatri lontani mentre ora si torna al concetto di difesa territoriale benché, ovviamente, la mobilità resta un fattore determinante”. Di fatto è la prima volta in 30 anni che l’alleanza prende sul serio una guerra con la Russia e dunque interviene nell’atto pratico: un conto è calcolare le proprie mosse con un vicino considerato partner (Mosca così veniva definita nel concetto strategico precedente a Madrid) con il quale si era arrivati ad avere un Consiglio di Cooperazione, un conto gestire una potenza nucleare che invade un vicino. Ma tra l’immaginare e il dislocare, ce ne corre. Ecco perché lo sforzo ora è concentrato a raggiungere obiettivi “concreti, verificabili, seri”. Le implicazioni sono innumerevoli, a partire dai soldi. Quel che è certo è che gli alleati dovranno spendere di più, considerando il 2% come una soglia minima e non un tetto. Però i quattrini vanno poi spesi e il diavolo, al solito, sta nei dettagli.
“Il problema è che la guerra con la Russia viene ancora vista come un esercizio teorico” nota una fonte diplomatica. “Lo scenario che dobbiamo prendere in conto invece è la possibilità che Mosca schieri 200mila soldati ai confini del fianco est: quali saranno i marcatori? Quando scatteranno i piani difensivi? Ora come ora ogni passaggio prevede un voto al Consiglio Atlantico, non ci sono automatismi”, spiega ancora la fonte. Il che, naturalmente, non è necessariamente un male, data la posta in gioco. Nulla però è già stabilito. “Ora inizia il processo di dibattito con alleati”, precisa il funzionario. “Non è una negoziazione, più che altro un aggiustamento: i Paesi hanno avuto però più peso nella costruzione dei piani che nel passato, sanno che sono migliori di quelli attuali e saranno aggiornati in futuro”.
Insomma, le capitali potranno presentare le richieste dell’ultimo miglio e poi scatterà la sintesi definitiva. Gli alleati hanno d’altra parte deciso di riunirsi tre volte all’anno per compiere un check-up sulle forze effettivamente in campo (ovvero quanto promesso al Supremo Comando Alleato, o Saceur) e il prossimo appuntamento sarà in giugno, prima di Vilnius. Pure qui, sembra facile ma non lo è. La Nato, infatti, a ben vedere non esiste. Nel senso che è la somma dei suoi alleati, dei mezzi e degli uomini che effettivamente schierano sul campo, e che il quartier generale, in caso di bisogno, può utilizzare.
Dal 2014 in poi, l’anno dell’annessione della Crimea e dell’inizio del conflitto nel Donbas, Bruxelles ha sterzato, tornando a guardare il fianco est con preoccupazione. Il modello base – il Nato Response Force, una forza multinazionale altamente pronta e tecnologicamente avanzata, composta da componenti terrestri, aeree, marittime e unità per le operazioni speciali, che l’alleanza può schierare velocemente – è stato rafforzato, creando la Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), la punta di lancia della Nato (è la crema della Nato, che si sta esercitando nel poligono sardo di Capo Teulada). L’alleanza ha rafforzato poi la sua presenza nella parte orientale con ormai otto gruppi tattici multinazionali dislocati in Bulgaria, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia (per un totale di 40mila soldati). Tutto ciò va bene per il presente, non per il futuro. E qui entra in gioco il summit di Madrid.
Nella capitale spagnola i leader hanno dunque deciso di abbandonare la strategia pre 24 febbraio – essenzialmente di abbandonare l’est a se stesso e fermare l’invasore russo prima dell’ingresso nei ‘vecchi confini’ – e blindare ogni singolo centimetro di territorio alleato. Con grande fanfara è nato dunque il, New Force Model o Nuovo Modulo Forze: 300 mila uomini divisi su tre livelli di prontezza (il primo ne prevede 100mila schierabili entro 10 giorni). Ma, come ammette un’alta fonte diplomatica alleata, sono numeri “indicativi”. La strategia prevede di portare i battaglioni nell’est al livello di brigata (5mila uomini) ma di non arrivare a strutture fisse, pesanti e costose – semmai preposizionare i mezzi, come difesa aerea, tank e caccia, e ruotare gli effettivi. Il senso è: gli uomini si muovono in fretta, l’equipaggiamento meno.
“I piani sono i piani, il Nuovo Modello Forze lo strumento per attuarli”, spiega un altro funzionario Nato. Nell’est, però, resta del nervosismo nonostante il consenso generale per “un lavoro ben fatto”, che prende in esame le sfide odierne. “Al momento se c’è un incidente alle frontiere non scatta il piano di difesa, se le truppe Wagner spuntano in un villaggio non scatta il piano di difesa”, si lamenta una fonte orientale. “Vorremmo qualcosa di più concreto”.