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Charles Bukowski, 100 anni contro ogni normalità

Beniamino Placido su Repubblica del 18 maggio 1978 firmava l’articolo che, per tutti, è quello che decretò il successo e attirò l’attenzione su Charles Bukowski, il poeta e narratore americano scomparso nel 1994 e di cui il 16 agosto si celebrano i cento anni dalla nascita, avvenuta nel 1920 a Andernach, in Germania, dove suo padre era militare nell’esercito Usa e lo portò a vivere a Los Angeles quando aveva tre anni. E lo stesso Placido, un anno dopo scriveva lamentandosi che i giovani lo leggessero avidamente ma superficialmente, facendone un maestro dell’asocialità e del seguire solo i propri bisogni individuali. In quest’ottica poi, è stato per molti versi consumato, riportando la sua alterità a una quotidianità scontata e ribelle.
    Passati oltre quaranta anni da allora, che senso ha quindi leggere oggi Bukowski? Visto che si continua a leggere e pubblicare: ultimo il suo volume epistolare a amici e altri autori ”Sulla scrittura” (Guanda, pp. 300 – euro 18,00) preceduto tempo fa da ”Il meglio” dello scrittore (Guanda, pp.316 – 18,00 euro). I suoi libri, di narrativa e di poesia, conservano e mostrano una potenza che ne fanno di sicuro uno scrittore non effimero, mentre quel che bisogna riscoprire è proprio il suo esser visto come incarnazione della contestazione totale, dell’essere contro tutto e tutti, cantore dell’eccesso e del mettersi fuori di quell’insieme di riferimenti che sono più o meno quello che chiamiamo normalità. E proprio in questa sua critica e distruzione di ogni ”normalità” ancora ci piace e ci suggerisce approcci diversi, anche sorprendenti, alle cose, al mondo, alla vita.
    Bukowski, più di altri autori analitici o saggisti rispetto ai quali compie uno scarto netto, una decisa mossa del cavallo, è davvero l’incarnazione del fallimento e tradimento del sogno americano, col suo non credere più a nulla, non importargli più di nulla, nella sua apatia dal prendere qualsivoglia iniziativa, facendosi bastare una serie immancabile di birre, cercando di vincere qualcosa alle corse di cavalli, e trovando un letto per dormire, naturalmente non da solo, visto il suo amore per le donne e il sesso, riversando e placando evidentemente poi ogni possibile furia nella scrittura (ha lasciato sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia di poesie) e facendo personaggio se stesso, in una sorta di sfrenato autobiografismo.
    E’ l’uomo dai mille mestieri per sopravvivere, che si mette contro, che beve troppo sin da quando è ragazzo (nel 1969 perde il suo grande amore Jane Baker, morta alcolizzata), che appare vitalissimo nella sua furia sessuale, nei suoi eccessi, nel suo mal sopportare il posto da impiegato alle poste, che lascia a 50 anni quando l’Edizioni Black Sparrow gi offrono per la sua produzione 100 dollari al mese per tutta la vita: scrive che o restava alle poste impazzendo, o giocava a fare lo scrittore morendo di fame, e preferiva morire di fame. Un mese dopo la firma del contratto aveva finito il romanzo ”Post office” con cui divenne celebre. Da noi, con questo, i titoli che lo hanno portato al successo sono i racconti di ”Taccuinio di un vecchio sporcaccione” e le ”Storie di ordinaria follia – Erezioni, eiaculazioni, esibizioni”, il romanzo ”Factotum” e le poesie di ”L’amore è un cane che viene dall’inferno”. La sua è una scrittura estremamente realistica e assieme visionaria, con immagini che stupiscono e sorprendono, sintesi illuminanti e elenchi coinvolgenti, tutto con una lingua più letteraria di quello che potrebbe sembrare e lui (ammiratore di Hemingway e lettore di Shakespeare) pretende. Parrebbe che ogni cosa, sentimento, azione sia scontata e invece vive proprio del non esserlo mai, nemmeno nella ripetitività di chi è spinto dall’urgenza di dover calmare, colmare un’ansia, un vuoto esistenziale, mettendo a nudo il proprio animo, la propria anima. Ed è così che è diventato comunque un punto di riferimento nella cultura americana, e non solo. 
   

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