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Cesare Pavese, la modernità, la morte, le donne

(ANSA) – ROMA, 08 AGO – CESARE PAVESE, LE POESIE (ET Einaudi, pag. 397, Euro 14,00).
    ”Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, è il più popolare dei versi di Cesare Pavese, ambiguo, inquietante, misterioso, definitivo eppure così chiaro e in tempi di Covid e mascherine obbligatorie tanto più attuale. Del resto dell’attualità di Pavese dice molto, facendo scoprire dettagli inediti, anche Tiziano Scarpa nella bella introduzione a questo volume che in edizione tascabile ripropone tutti i versi del grande scrittore: da Lavorare stanca (1936-1943), a La terra e la morte, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Prima di Lavorare stanca (1923-1930), fino a Due poesie a T.
    E una lode va ad Einaudi che ne sta ripubblicando le opere in edizione economica – e completa – appunto perché Pavese è un autore che non va mai dimenticato. ”Io credo che in Pavese il ritmo serva a qualcos’altro rispetto a un tentativo ordinatore, come lascerebbe intendere la suggestione di Benjamin. E’ da affiancare, semmai, alle maschere africane, al jazz afroamericano, al blues (fra le carte dattiloscritte di Pavese è stato trovato un Blues dei blues) che contagiarono l’arte visiva e la musica europea tra le due guerre. Questo ritmo è l’emersione di un tamburo che contiene – che fa fatica a contenere – la pulsazione animale, la pulsione sensuale, la nudità essenziale”.
    E’ sulle tracce di questa nudità che Scarpa ripercorre alcuni filoni della modernità di Pavese forse rimasti sotto traccia.
    Perché se è vero che si laureò con una tesi su Walt Whitman, e che trascrisse alcune sue pagine sul Naturismo ottocentesco, il corpo nudo così presente nei suoi versi assume un valore più alto. La nudità dei suoi versi è come un legame primigenio e totale con la natura che affolla i libri di Pavese così come l’umanità, in tutte le sue sfumature. Più in generale, scrive ancora Scarpa, ”i versi di Pavese sono affollati di personaggi che patiscono le norme generali, e a volte riescono ad attuare le loro insurrezioni personali o almeno ad immaginarle”. E in questa umanità che non cerca nemmeno il riscatto ma ha consapevolezza della sua posizione periferica, spesso subalterna, dolorosa, di confine, ci sono ovviamente le donne.
    ”La poesia di Pavese non fa sconti nel ricordare ai suoi contemporanei come vengono considerate e trattate: ”Voglio dire, le donne da noi stanno in casa/ e ci mettono al mondo e non dicono nulla/ e non contano nulla e non le ricordiamo”. Non c’è altro da aggiungere a questi pochi versi di quel libro straordinario che è Lavorare stanca, versi del 1932. ”Ogni donna – scrive ancora – c’infonde nel sangue qualcosa di nuovo,/ ma s’annullano tutte nell’opera e noi, / rinnovati così, siamo i soli a durare. /Siamo pieni di vizi, di ticchi e di orrori/ – noi, gli uomini, i padri – qualcuno si è ucciso,/ ma una sola vergogna non ci ha mai toccato,/ non saremo mai donne, mai schiavi a nessuno”. Versi che guardano al futuro con preveggenza, anche quello suo personale e tragico. (ANSA).
   

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