L’innovazione tecnologica e i nuovi device come potenziali alleati dello Stato contro la violenza di genere. Segnali incoraggianti arrivano da alcuni episodi in cui le protagoniste hanno evitato il peggio grazie a dispositivi antiviolenza.
“A inizio gennaio sono andata a trovare un’amica a Milano”, racconta Valentina (nome di fantasia), 17enne originaria del bresciano. Sulla via del ritorno, lo spiacevole episodio “verso sera la mia amica mi ha accompagnata in stazione a prendere il treno del ritorno”, continua, “ad un certo punto entrano nel vagone quattro ragazze ridendo ed urlando […] poi hanno messo della musica ed hanno iniziato a ballare”. In un lampo, gli altri passeggeri escono dal vagone, Valentina si ritrova sola e “una delle ragazze si avvicina e inizia a farmi apprezzamenti ed a toccarmi i capelli” mentre, poco dopo un’altra la molesta. Un passeggero entra nel vagone e Valentina ne approfitta per azionare il device che aveva con sé, attivandone la sirena che in breve tempo le consente di mettersi in salvo: “Sono scesa alla prima fermata, per fortuna i miei genitori sono venuti a prendermi lì perché avevano visto i messaggi sos geolocalizzati mandati ai contatti di emergenza dal WinLet”.
Un episodio che si aggiunge ad uno simile, avvenuto lo scorso dicembre nel milanese, dove una studentessa è scampata ad una potenziale violenza di gruppo grazie allo stesso accessorio antiaggressione.
Ad asserirlo Pier Carlo Montali, ideatore del dispositivo WinLet che a fine gennaio è stato ascoltato in audizione in Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio.
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