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IL MAGAZINE | Che cosa è successo a Ilaria Salis

È stato necessario aspettare quasi un anno per la prima udienza. Ilaria Salis, 39 anni, è in un carcere di massima sicurezza a Budapest dall’11 febbraio 2023.

Il processo è cominciato il 29 gennaio 2024. “Si annuncia lungo”, spiega all’ANSA uno dei suoi avvocati italiani, Eugenio Losco. 

La donna è accusata di aggressioni che hanno causato lesioni dalla prognosi di cinque e otto giorni ma le due presunte vittime non hanno sporto denuncia, annunciando che “si sarebbero fatte giustizia da sole”. Ilaria si dichiara da sempre innocente: per lei la procura ungherese chiede 11 anni di carcere

“Fino a settembre – dice il padre Roberto – non avevamo idea di cosa stesse capitando. Avevamo i riferimenti degli avvocati ungheresi, che vedevano marginalmente l’imputata, mia figlia, per questioni giuridiche. La sua tutela in un sistema penitenziario straniero era in mano all’ambasciata italiana, che a mio avviso ha totalmente dormito sul caso. Non si è occupata assolutamente della situazione di mia figlia e ha permesso che una cittadina italiana fosse torturata gravissimamente per 8 giorni e in modo molto grave per 35 giorni sotto i loro occhi”. Il tutto “a prescindere dalla colpevolezza di Ilaria: potrebbe essere la più pericolosa serial killer del pianeta, ma non cambia nulla. Nessuno si deve permettere di calpestare in quel modo la dignità di un individuo”. 

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Citazione

“Sono trattata come una bestia al guinzaglio, da tre mesi sono tormentata dalle punture delle cimici nel letto, l’aria è poca, solo quella che filtra dallo spioncino”.

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“Mia figlia deperita per l’udienza”

Chi è Ilaria Salis

Ha 39 anni, è una maestra delle elementari. È di Monza, la famiglia ha origini sarde e lo si evince dal cognome e un po’ anche dall’accento del padre quando racconta con voce pacata chi è sua figlia: “una convinta antifascista e una convinta comunista”. 

Nel febbraio 2023 Ilaria Salis è a Budapest, in Ungheria. Qui tutti gli anni si “celebra” il Giorno dell’Onore, Tag der Ehre: neonazisti di tutto il mondo, dalla Germania, dall’Austria e dall’Ungheria ma anche dall’Italia, si riuniscono per celebrare il battaglione nazista che nel 1945 tentò di impedire l’accerchiamento dell’Armata Rossa, in una mossa definita da molte analisi storiche “suicida”, a salvarsi furono una manciata di persone. Nella sfilata commemorativa dagli Anni Novanta si marcia vestiti da nazisti. Non è autorizzata, ma tollerata dall’Ungheria di Viktor Orban. 

Ilaria è un’antifascista. Ed è lì a protestare contro questa celebrazione che da anni attira a Budapest la destra estrema del continente. Si registrano degli scontri tra antifascisti e nostalgici. Ilaria “viene arrestata in taxi insieme a un cittadino e a una cittadina tedeschi”, racconta il padre. “Da lì è iniziato l’incubo. Tobias, il cittadino tedesco, era ricercato dalla polizia tedesca per fatti di violenza contro neonazisti avvenuti in Germania. L’altra è una cittadina tedesca incensurata che è stata rimandata in Germania il giorno dopo l’arresto e ha l’obbligo di mandare una mail alla settimana alla polizia ungherese. Mia figlia è lì in carcere da allora. Sembrerebbe quasi che abbiano scelto la cittadina della nazionalità che sapevano essere meno sensibile, da un punto di vista di capacità diplomatiche, a tutelarne gli interessi”. 

Le accuse formulate nei confronti di Ilaria Salis, definite con la richiesta di rinvio a giudizio, “sono quelle di aver partecipato a due aggressioni che si sono verificate il 10 febbraio 2023 nella capitale ungherese”, spiega uno degli avvocati della famiglia, Eugenio Losco. “Le due aggressioni hanno causato delle lesioni giudicate guaribili in un caso in otto giorni e nell’altro in cinque”. Ilaria, che si professa da sempre estranea ai fatti, ha rifiutato quello che in Italia potrebbe essere definito come un patteggiamento a 11 anni. 

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I legali: “C’è fiducia ma per i genitori è un incubo”

La detenzione in Ungheria

Gabriele Marchesi ha 23 anni. I giornali lo definiscono “anarchico”. Da novembre 2023 è ai domiciliari a Milano per un mandato d’arresto europeo spiccato dall’Ungheria. Il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser ha espresso il suo no all’estradizione, per la sproporzione dell’eventuale pena rispetto ai fatti contestati e per la pessima fama delle carceri ungheresi. Come quelle in cui si trova Ilaria Salis. 

“Mia figlia è agli arresti cautelari da un anno per dei reati che sono stati definiti dal sostituto procuratore generale della corte d’appello di Milano “di lievissima entità”.  Il processo verificherà se è colpevole. Esistono anche le videoconferenze: non c’è nessun motivo per far stare in carcere, in mezzo alle cimici, una persona accusata di aver causato qualche graffio”, si sfoga. 

Il paese di Viktor Orbán è finito più volte sotto i riflettori internazionali per questioni legate al rispetto dello stato di diritto. “A Ilaria è stato impedito per quasi sette mesi anche solo di parlare con la sua famiglia”, racconta Gianluca Tizi del Comitato Liberiamo Ilaria Salis, nato su iniziativa di compagni e compagne di università della donna. “Ilaria era a Budapest a manifestare contro una celebrazione verso cui prova sdegno. E io penso che questo sia un diritto inalienabile in qualunque paese, almeno dell’Unione Europea”. 

L’Ungheria è anche lo Stato che in Europa vede la più alta percentuale di persone in carcere rispetto alla popolazione. E in media le pene detentive durano più che negli altri paesi dell’Ue, dicono Zsófia Moldova ed Erika Farkas del Comitato Helsinki Ungherese. 

Opera della street artist Laika per Ilaria Salis davanti all’ambasciata di Ungheria a Roma

Nei primi tempi in carcere Ilaria “viene trattata come un animale: vestiti maleodoranti tenuti per 35 giorni senza possibilità di cambiare nemmeno la biancheria intima”, prosegue Tizi. “In aula, per la convalida dell’arresto, è stata portata con un guinzaglio e con le gambe legate da catene”, prosegue Tizi. “Per i primi otto giorni non aveva nemmeno il necessario per lavarsi. Aveva le mestruazioni ma non aveva gli assorbenti e nemmeno la carta igienica. Poi è stata messa in cella con un’altra detenuta ungherese che per pietà le ha prestato la carta igienica. Stiamo parlando di qualcosa di orribile e indegno di un paese civile davanti al quale il nostro governo avrebbe dovuto quantomeno avanzare una protesta ferma”. 

Il 23 gennaio 2024 il padre ha incontrato a Roma il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. “Ci sono delle evoluzioni sulle modalità che potrebbero consentire di riportare Ilaria in Italia, per cui stiamo parlando di questi dettagli tecnici. Finalmente, dopo tutta questa penosa situazione che si è venuta a creare, mi sembra che ci sia un concreto interesse da parte del governo a trovare una soluzione. Ci sono un po’ di divergenze sulle modalità, ma se c’è buona volontà, sono sicuro che una soluzione si troverà”. 

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha spiegato, a inizio gennaio, che l’ambasciata ha sempre lavorato accanto alla famiglia dando fin da subito tutto il supporto necessario. E a metà gennaio il titolare della Farnesina ha incontrato a Bruxelles il suo omologo ungherese Peter Szijjarto a cui ha chiesto per Salis “un trattamento rispettoso delle regole e della dignità  della persona, eventuali soluzioni alternative alla detenzione”.

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Comitato Liberiamo Ilaria Salis: “Trattata come un animale”

Il processo

In Ungheria, spiega l’avvocato Losco, esiste come in Italia il reato di lesioni personali e lievi, “ma le autorità ungheresi hanno deciso di contestare una fattispecie più grave, ossia che queste lesioni potevano essere mortali”. Eppure, aggiunge Losco, “agli atti ci sono perizie di medici ungheresi che smentiscono questa circostanza: i colpi, per come dati, non potevano in alcun modo causare la morte di una persona”. La pena applicabile per quel reato è notevolmente più alta: da 2 a 8 anni. “Essendo duplici, la pena subisce un ulteriore aumento e arriva a un massimo di 12 anni. Viene contestato poi che quelle lesioni sono aggravate dal fatto che si sono verificate nell’ambito di un contesto di un’associazione criminale e da 12 anni si arriva a un massimo ipotetico di 24 anni”. 

Da qualche anno l’Ungheria indaga sull’esistenza di una presunta organizzazione, fondata nel 2017 a Lipsia in Germania, che avrebbe l’esplicita “finalità di attaccare e assaltare i militanti fascisti o di ideologia nazista”. La fattispecie contestata a Ilaria Salis, prosegue il suo legale italiano che è stato a Budapest per la prima udienza, “è quella di lesioni pluriaggravate: non le viene contestato direttamente il reato associativo” ma che “quelle lesioni sono avvenute in un contesto di ambito associativo, pur non essendoci elementi che colleghino Ilaria Salis all’associazione criminale” nelle 800 pagine dell’inchiesta. 

Ilaria Salis portata in aula in catene

“Non è stato dimostrato che Salis abbia commesso questi crimini, non vi era alcuna possibilità che le lesioni fossero mortali e non c’è alcuna organizzazione criminale coinvolta. Ne discuteremo in tribunale”, promette in un’intervista di questi giorni György Magyar, uno dei più noti avvocati penalisti ungheresi, attivista per i diritti civili e difensore, a Budapest, dell’insegnante di Monza. L’offerta di “patteggiamento”, per dirla all’italiana, con 11 anni di detenzione è stata rifiutata da Ilaria e dal suo team legale, in Italia e in Ungheria. 

Nell’udienza del 29 gennaio 2024 Ilaria Salis si è dichiarata “estranea ai fatti”. Non chiede di non essere processata ma di affrontare tutto questo in condizioni di civiltà. Non nelle carceri ungheresi, quindi. “La disparità di trattamento nei due ordinamenti è evidente: c’è una prima questione importantissima del mancato rispetto del principio di proporzionalità, peraltro previsto dal diritto europeo da parte delle autorità e del codice penale ungherese”, avverte il difensore Losco.

“Quello che noi chiediamo è che si dia attuazione ai principi previsti dall’ordinamento europeo, regole che sono state anche poi recepite dal diritto italiano e da quello ungherese che prevedono per i cittadini appartenenti alla comunità europea coinvolti in un caso penale in uno stato diverso da quello di residenza la possibilità di applicare misure diverse dal carcere nel loro paese di residenza.

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