Il tumore della prostata è quello più diffuso tra la popolazione maschile in Italia e costituisce il 20% di tutti i casi di cancro diagnosticati a partire dai 50 anni di età. La sopravvivenza a 5 e a 10 anni dalla diagnosi è molto alta ed oggi migliora la sopravvivenza anche per i casi più gravi, come quelli metastatici ormono-sensibili. Per questo l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) e Fondazione Aiom lanciano una nuova campagna d’informazione per sensibilizzare gli oncologi ma anche pazienti, caregiver, istituzioni e la popolazione sulle nuove disponibilità terapeutiche per questa neoplasia. Il tumore della prostata nel 2023 ha colpito 41.100 uomini nel nostro Paese e si registra un incremento di nuovi casi l’anno nell’ultimo triennio del 14%. Più del 60% dei pazienti riesce a sconfiggere definitivamente il carcinoma, anche quelli interessati dalle forme più gravi del tumore.
“L’introduzione delle terapie mirate – spiega Saverio Cinieri, presidente di Fondazione Aiom, in una confernza stampa online – ha cambiato la storia della lotta a questo carcinoma. Fino a un decennio fa le opzioni terapeutiche per certe situazioni cliniche erano molto limitate. Oggi invece sono disponibili nuovi farmaci e una sequenza di più linee di trattamento”. Il progetto di Aiom prevede la diffusione di una newsletter per gli specialisti, video-interviste ai principali esperti italiani, webinar per pazienti e caregiver e una forte attività sui socal media. Successi, sottolinea Marcello Tucci, direttore Oncologia dell’Ospedale Cardinal Massaia di Asti, “sono emersi anche in un setting più precoce di malattia metastatica ormono-sensibile. In questo sottogruppo di pazienti solo il 30% sopravvive a cinque anni dalla diagnosi. Nella maggioranza dei casi la patologia si evolve e diventa resistente alla castrazione. In altre parole, la terapia ormonale non provoca sufficienti benefici e si rendono assolutamente necessarie altre e più efficaci cure. Una strategia che ha ulteriormente migliorato il controllo della malattia metastatica ormono-sensibile è stata quella di utilizzato un inibitore orale del recettore degli androgeni di nuova generazione, come la Darolutamide, che, per esempio, ha dimostrato di ridurre del 32% il rischio di morte se somministrato insieme a terapia ormonale e chemioterapia”.
Solo in Italia, aggiunge Orazio Caffo, direttore dell’Unità operativa di Oncologia Medica dell’Ospedale Santa Chiara, Trento, “vivono con una diagnosi oltre 564mila uomini, e il loro numero risulta più che raddoppiato rispetto a 10 anni fa. Alla base di questi dati epidemiologici vi è anche la maggiore probabilità di individuare la malattia attraverso esami come il dosaggio del Psa o l’esame digitorettale. Inoltre, stiamo assistendo ad un invecchiamento generale della popolazione e alla sempre maggiore presenza di fattori di rischio”. L’età è uno di questi, “insieme a obesità, dieta e fumo, e poi vi sono i fattori ormonali e quelli genetici”, prosegue Cinieri. Secondo gli ultimi dati a livello mondiale le diagnosi annuali di carcinoma prostatico ammontano a 1,4 milioni.
“In generale nelle prime fasi la malattia è asintomatica – precisa Tucci -. Solo quando progredisce compaiono alcuni sintomi non specifici come la diminuzione della potenza del getto urinario, l’ematuria, la disuria e il dolore perineale. Nelle fasi più avanzate invece lo scheletro è spesso la prima sede di comparsa di metastasi. Si sviluppa così il caratteristico dolore osseo, localizzato soprattutto principalmente a livello del rachide”. Se il cancro è confinato alla prostata può essere trattato con la chirurgia o la radioterapia, spiegano gli esperti. Quando invece la malattia presenta metastasi nella fase sensibile agli ormoni, è indispensabile potenziare la terapia di deprivazione androgenica con la terapia ormonale di nuova generazione o con la chemioterapia. Un ulteriore passo avanti nel bloccare lo sviluppo del tumore viene appunto dalla molecola dalla Darolutamide, che rappresenta una nuova ed importante opzione terapeutica, nel momento in cui si aggiunge alla terapia di deprivazione androgenica e alla chemioterapia. Il farmaco “ha ottenuto l’approvazione da parte della Commissione Europea un anno fa, e attendiamo che a breve sia disponibile anche per medici e pazienti italiani”, conclude Caffo.
L’APPROCCIO DELLA SORVEGLIANZA ATTIVA
E’ una strategia che “sta prendendo sempre più piede – spiega Caffo – ma si tratta di casi selezionati: riguarda infatti i pazienti a basso a rischio con malattia limitata, e ci sono protocolli precisi per individuare tali pazienti ai quali applicare la sorveglianza attiva, alla quale va affiancato anche un adeguato supporto psicologico”. Naturalmente, precisa l’oncologo, “l’approccio di sorveglianza attiva non significa non fare nulla, bensì significa monitorare attentamente per cogliere una eventuale mutazione della malattia e intervenire tempestivamente quando e se ciò diventasse necessario, cioè solo quando ve ne è davvero bisogno”.
Tale approccio, prosegue Caffo, “evita dunque dei trattamenti inutili, con benefici per i pazienti”. Oggi, inoltre, “ci sono dati evidenti che evidenziano come il ricorso ala sorveglianza attiva sia maggiore laddove sono operative delle equipe multidisciplinari per la presa in carico del paziente. Ciò dimostra l’importanza cruciale della gestione multidisciplinare, ovvero con la presenza di vari specialisti in squadra, anche dei pazienti con questo tipo di neoplasia”.
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