Foto, video e audio intimi diffusi senza consenso, online o nelle chat, una forma di violenza digitale sempre più frequente, soprattutto tra i giovani: per aiutare chi ne è vittima, Chayn Italia – una piattaforma femminista che contrasta la violenza di genere – ha pubblicato una guida con gli strumenti pratici per tutelarsi.
Nel vademecum sono indicati alcuni suggerimenti: come comportarsi nell’ambito del sexting (lo scambio di immagini o audio intimi); a chi rivolgersi se si è vittima di pubblicazioni o scambi di materiale con terzi senza averne dato il consenso; le possibilità di richiedere la rimozione dei contenuti sui differenti social network, siti o canali di messaggistica; le conseguenze penali di chi la compie di Diffusione Non Consensuale di Immagini Intime (DNCII), che è reato dal 2019.
Il consiglio generale e sempre valido è anche quello di conservare prova dei contenuti attraverso le foto di post e messaggi (screenshot).
Il progetto è dedicato a tutte le vittime di questa violenza e in particolare a Tiziana Cantone, la donna di 31 anni trovata senza vita il 13 settembre 2016, in casa della madre a Mugnano (Napoli), dopo che erano stati diffusi in rete video privati.
Quando si parla di Diffusione Non Consensuale di Immagini Intime
Anche alla base di questa forma di violenza c’è il non rispetto del consenso. La Diffusione Non Consensuale di Immagini Intime (DNCII) è una forma di violenza digitale di genere e dal 2019 il codice penale italiano riconosce questa violenza come reato.
Quando ci si trova di fronte a una forma di DNCII? Ad esempio, spiega Chayn, “se il partner o l’ex partner sessuale e/o sentimentale ha condiviso contenuti – scambiati prima, durante o dopo la relazione – su siti dedicati a video pornografici o inviati su chat WhatsApp, Telegram, gruppi Facebook e così via”.
Perché è meglio non usare il termine “revenge porn”
Il collettivo Chayn Italia preferisce non utilizzare il termine “revenge porn” (“vendetta porno”), definizione spesso usata per la DNCII.
Le ragioni principali sono due. In primo luogo, afferma Chayn, “associare la vendetta alla diffusione non consensuale di immagini intime induce a pensare che la violenza sia commessa in risposta a un’offesa che rende legittima una reazione. Questo passaggio è molto simile al “se l’è cercata” e deresponsabilizza chi ha diffuso le immagini, colpevolizzando la persona ritratta; mentre chiaramente l’unica persona responsabile è chi, senza consenso esplicito, diffonde immagini intime non proprie. Ognuno – precisa il collettivo – può inviare immagini del proprio corpo ma chi le riceve non è legittimato a farle circolare o inviarle a terzi, senza esplicito permesso della persona rappresentata”.
In secondo luogo anche il termine “porno” è errato per descrivere la DNCII “poiché confonde e sovrappone automaticamente un’immagine di nudo con il porno. Il porno è una forma di sex work, una forma di lavoro nel quale le immagini e/o i video vengono diffusi con il consenso della persona ritratta, che in alcuni casi riceve una retribuzione. Considerare la DNCII come pornografia significa non riconoscere una violenza”, spiega Chayn.
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