Arrivano le nuove regole europee sui conti pubblici. Prevedono piani concordati con la Commissione europea dagli Stati Ue indicando solo un percorso di spesa in grado di far scendere stabilmente il debito pubblico. Ma non ci saranno obiettivi numerici veri e propri sul calo dell’indebitamento. E resteranno invariati i parametri dei trattati che fissano un tetto per il deficit al 3% del Pil e per il debito al 60% del Pil. Per i Paesi oltre tali valori saranno così previste dall’esecutivo europeo delle “traiettorie tecniche” di spesa con l’obiettivo, ancora una volta, di far scendere il debito. Gli Stati che sono invece in disavanzo (nominale) eccessivo dovranno comunque garantire in automatico un aggiustamento strutturale del deficit annuo minimo pari allo 0,5% del Pil, fino a quando lo sforamento non sarà rientrato. Da Roma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti saluta la proposta legislativa di riforma della Commissione come “un passo avanti”: consentirà di non tornare al vecchio Patto, sospeso dall’inizio della pandemia grazie alla clausola di salvaguardia. Giorgetti però non nasconde la delusione per la mancata regola della ‘golden rule’, per scomputare cioè dai conti gli investimenti strategici.
“Noi avevamo chiesto con forza l’esclusione delle spese d’investimento, ivi incluse quelle tipiche del Pnrr digitale e green deal, dal calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri. Prendiamo atto che così non è”. L’aggiustamento dei conti italiani sulla base di alcune simulazioni tecniche circolate a Bruxelles potrebbe comportare una riduzione del deficit strutturale dello 0,85% annuo nel caso di un piano a 4 anni e dello 0,45% medio se un piano a 7 anni. La salvaguardia dello 0,5% decisa per andare incontro alle richieste dei ‘frugali’, comunque, è risultata alla fine però ben diversa dai criteri draconiani chiesti dai tedeschi. Berlino così già boccia la riforma aprendo però a una “trattativa costruttiva”. “Le proposte della Commissione europea non soddisfano ancora le esigenze della Germania”, tuona il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner. “Nessuno deve pensare che la Germania accetti automaticamente le proposte – dice -. Accetteremo solo regole che consentano un percorso affidabile verso la riduzione del debito e la stabilità delle finanze pubbliche”. Più positiva la reazione dei Paesi Bassi, dove però il governo fa sapere di volere che “le nuove regole portino a una riduzione ambiziosa del debito e a una maggiore sostenibilità del debito per i Paesi altamente indebitati”.
La Francia per parte sua non guarderebbe con favore a regole automatiche di riduzione di deficit e debito. Dalla Commissione europea il commissario all’Economia Paolo Gentiloni sottolinea come le nuove regole potranno “favorire la crescita, la sostenibilità fiscale e affrontare le priorità comuni dell’Ue”. “Gli Stati membri non potranno rimandare gli aggiustamenti di bilancio a una data successiva. Questo vale anche per la realizzazione delle riforme e degli investimenti necessari”, mette in evidenza il vicepresidente Valdis Dombrovksis. Gli aggiustamenti dei Paesi con deficit eccessivo dovranno avvenire per lo più nei primi quattro anni di piano. La procedura per disavanzo sarà invariata, e scatterà anche in caso di scostamento dai piani di spesa concordati con la Commissione e poi approvati dal Consiglio. Scompare invece del tutto la temibile regola ‘del ventesimo’ che chiedeva il rientro del debito del 5% del Pil per quanti fossero oltre la soglia del 60%, in un intervento estremamente prociclico e infatti mai applicato. Il precedente meccanismo sanzionatorio in caso di procedura per disavanzo prevedeva un deposito massimo fino allo 0,5% del Pil. Ora potrebbero scattare sanzioni pari a un minimo dello 0,05% ogni sei mesi e fino a quando non sarà rientrato il disavanzo, ma comunque per lo 0,5% massimo.
La riforma del Patto di stabilità è un “passo avanti” ma non tiene conto della necessità per i Paesi Ue di scorporare da debito e deficit di tutta quella gamma di investimenti e spese che stanno segnando l’Europa degli ultimi mesi e che Bruxelles stessa ritiene necessari. E’ in questo assunto che si concentrano, di fatto, le non poche perplessità del governo italiano rispetto alla nuova governance economica delineata dalla Commissione. Perplessità che, probabilmente, emergeranno già ad una riunione dei ministri delle Finanze europei – venerdì e sabato a Stoccolma – che per l’Italia si preannuncia già caldissima su un fronte, innanzitutto: quello del Mes.
L’Europa, sulla mancata ratifica, sta finendo la pazienza ma Palazzo Chigi tiene il punto. Il Mes “va aggiornato e trasformato in veicolo per la crescita”, hanno sottolineato fonti di governo. Da qui all’estate, la dialettica tra l’esecutivo europeo e Roma, sul fronte economico, si prospetta intensissima. E ruoterà attorno a tre pilastri: il Patto, le modifiche al Pnrr e la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità. Si tratta di tre punti solo apparentemente slegati. I primi due, per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, sono ad esempio legatissimi. “Avevamo chiesto con forza l’esclusione delle spese d’investimento, ivi incluse quelle tipiche del Pnrr digitale e Green deal, dal calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri. Prendiamo atto che così non è”, ha spiegato il titolare del Tesoro. Tradotto: se il nuovo Patto di Stabilità non prevede alcuna ‘golden rule’ (ovvero la regola che calcola con una diversa contabilità determinate categorie di investimenti) i Paesi membri ad elevato debito saranno chiamati a concentrarsi solo su quegli investimenti che portano ad un calo del deficit e del debito rispetto al Pil. Con il rischio, quindi, di deviare dalle priorità che, attraverso il Next Generation, l’Ue ha impresso nei Pnrr dei Paesi membri.
Da un punto di vista prettamente numerico, invece, qualsiasi simulazione delle correzioni a cui potrebbe andare incontro l’Italia va presa con la prudenza necessaria. E distinguendo il percorso di rientro dal debito standard, quadriennale, da quello di sette anni, che certamente più si adegua all’Italia. Nel primo caso per Roma si prospetterebbe una correzione dello 0,85% del Pil (14-15 miliardi), nel secondo dello 0,45%, ovvero un range che, secondo i primissimi calcoli che circolano in queste ore, va dai 6 agli 8,5 miliardi. Fonti europee sottolineano come si tratti di cifre legate alla cosiddetta traiettoria tecnica, che è solo “il punto di partenza” delle discussioni che avranno singoli Paesi e Commissione sui piani pluriennali di rientro del debito e riforme. E, in ogni caso, si tratterebbe di un aggiustamento inferiore a quello richiesto all’Italia con le regole attuali. Il Def, inoltre, prevede un aggiustamento del 3,6& nel 2023 e dello 0,9% nel 2024. Neanche Fdi e Lega hanno esultato di fronte alla riforma del Patto, che invece è stata ben accolta dal Pd. Ben diverso, invece, è il clima che si respira tra Roma e Bruxelles sulla ratifica del Mes. “all’Eurogruppo all’Italia sarà chiesto cosa intenda fare sulla ratifica che ora è più che mai cruciale”, hanno avvertito fonti europee. La mancata ratifica del governo italiano, hanno incalzato, sta bloccando ulteriori riforme e sta avendo un effetto “raggelante” sulle discussioni. E solo dopo una sua ratifica, per l’Ue, si potrà parlare di modifica al meccanismo. Concetti che delineano con chiarezza gli stretti margini in cui dovrà muoversi Giorgia Meloni.