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Libro del giorno: Basaglia, la psichiatria gentile

 – MARIO COLUCCI e PIERANGELO DI VITTORIO, “FRANCO BASAGLIA” (ab Alphabeta; 333 pag; 16 euro). Durante la guerra una bomba era caduta sul manicomio di Ancona e la maggior parte dei malati era fuggita, ma nessuno ebbe il tempo di capire dove fossero i matti. Soltanto finito il conflitto qualcuno cominciò a chiedersi dove erano finiti. Molti non furono trovati ma alcuni lavoravano vicino al manicomio, come qualsiasi altra persona. L’episodio – semplice, elegante e folgorante – fu raccontato nel 1979 da Franco Basaglia a Rio de Janeiro nell’ambito di un ciclo di conferenze e sintetizza l’ipotesi che un’altra psichiatria era possibile.
    Lui il suo obiettivo principale – chiudere i manicomi – lo aveva già raggiunto l’anno prima, nel 1978, con la promulgazione della nota Legge 180, lasciando il mondo a bocca aperta.
    L’esperienza dello psichiatra veneziano, la sponda politica trovata a Trieste nell’amministrazione provinciale di Zanetti, il suo calibro di intellettuale e i rapporti internazionali che aveva intessuto sono il tema di “Franco Basaglia”, la prima biografia sullo studioso che lo psichiatra Mario Colucci e il filosofo Pierangelo Di Vittorio, che a Trieste da decenni, stimolati da un giovane psicanalista di nome Massimo Recalcati e sotto la supervisione della moglie di Basaglia, Franca Ongaro, pubblicarono nel 2001. Quest’anno, in occasione dei 40 anni della scomparsa di Basaglia, la ab Alphabeta Verlag la riedita aggiornata nel corpus di note e arricchita di quanto sull’ argomento è stato pubblicato negli ultimi venti anni e di una introduzione dello psichiatra teorico Eugenio Borgna, oggi novantenne.
    Quel Basaglia nell’arco di pochi anni – praticamente cacciato da Padova e operando tra Gorizia, Parma e Trieste – stimolato dalla fenomenologia di Minkowski, e dal confronto con Sartre, Foucault (Storia della follia), Goffman (Asylums), Fanon, aveva bruciato le tappe e superato perfino il collega inglese, Maxwell Jones, che, insistendo sulla possibilità di un trattamento diverso odei malati di mente che non contenzione, privazioni, isolamento, sembrava all’avanguardia. In Inghilterra come in Francia in quegli anni si stava trasformando il rapporto tra medico e paziente. Una antica tradizione: nel 1839 per la prima volta John Connolly aveva aperto le porte dell’ospedale psichiatrico ed eliminato i mezzi di contenzione fisica. Tracce episodiche di comprensione del fenomeno.
    E’ così che oggi, come indica proprio Borgna, “la psichiatria che è possibile fare in Italia è la migliore delle psichiatrie possibili: è l’eredità che ci ha lasciato Basaglia”. Questa ha fatto da traino a tutta la psichiatria, dandole connotati di “gentilezza e umanità”.
    Lo psichiatra veneziano si impadronì dell’intuizione fenomenologica di Husserl della ‘epoché’, sospensione del giudizio, per trascurare la diagnosi e concentrarsi sull’uomo malato di mente prima che sul paziente.
    “La posizione di Basaglia è ‘intenibile’, non intendeva riformare ma distruggere i manicomi e aprire i servizi”, racconta oggi Colucci. “Un medico con un paziente esercita un potere, questo spesso si dimentica con la scusa terapeutica, bisogna invece entrare in relazione, ma è più faticoso che non usare farmaci e coercizione. Oggi i giovani non hanno pazienza e non hanno nemmeno tempo. C’è la medicalizzazione della società, della psichiatria, non si capisce che il tema non è limitato alla scienza”, indica. Ma come si trasmette l’eredità di Basaglia senza renderla monumento? “Va contaminata con altre discipline. Chi arriva qui oggi a Trieste nemmeno sa cosa sia accaduto qua. Quando, arrivati a Trieste, proponevamo seminari su Basaglia c’era sorpresa e interesse, parlavamo di Basaglia come un autore, sembrava una cosa sacrilega”. (ANSA).
   

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