Anche se sono entrati venerdì mattina determinati a difendere fino in fondo tutte le loro richieste, un compromesso andava trovato, e quindi tutti sapevano di dover cedere qualcosa. Ma nessuno dei 27 leader europei esce realmente sconfitto dalla maratona negoziale che ha messo in piedi la risposta alla crisi economica più dura dal Dopoguerra. Vincitori invece ce ne sono tanti. Primi fra tutti i mediterranei, con Italia e Spagna in testa, che portano a casa un guadagno netto sui fondi del Recovery e soprattutto sulle sovvenzioni a fondo perduto che, anche se scendono sotto i 400 miliardi, non riducono di molto la parte destinata ai piani di rilancio rispetto alla proposta iniziale. E la parte di prestiti sale addirittura.
Ma vincitori, e sempre nella stessa partita, sono anche i frugali, che hanno costretto Michel, von der Leyen, Merkel, Macron e tutti gli altri a scendere sotto la soglia psicologica dei 400 miliardi di sussidi, venendo peraltro da una proposta iniziale di 500. Inoltre, hanno dimostrato ai loro elettori di aver saputo tenere testa all’asse franco-tedesco, piegandolo, e riuscendo anche ad aumentare i ‘rebates’, cioè i loro sconti al bilancio. L’Austria in particolare l’ha quasi raddoppiato. Per chiudere la dura battaglia sulla governance si è invece trovato un compromesso che fa cantare vittoria a Rutte, che voleva il controllo sulle riforme degli altri, e non lascia completamente scontenta l’Italia, che si opponeva fermamente a lungaggini e intoppi nel processo di approvazione dei piani di rilancio e nell’esborso dei fondi. Il meccanismo chiamato ‘super freno d’emergenza’ consente ad un Paese di portare i suoi dubbi sui piani di riforma all’Ecofin, ed eventualmente anche al Consiglio europeo, ma con un processo non automatico.